Aprire un ristorante a Maiorca

Scriviamo questo articolo dopo una bella chiacchierata del nostro Luca con Daniele, imprenditore e ristoratore nel Nord-Europa che sta valutando un trasferimento a Maiorca. Avendo condiviso la stessa linea di pensiero, Luca proverà a riassumere qui la mezz’ora passata insieme al nostro Daniele.

A Maiorca ci sono 28.314 attività nell’ambito della ristorazione. 

Utilizziamo sempre numeri e dati per dare oggettività ai nostri pensieri, ma in questo caso 28.314 è solo un sinonimo di “un po’ più di fantasia, no?”.



Indice articolo

Riflessioni all'ora di pranzo

La nostra "non" esperienza

Prima di arrivare sull’isola, anche il nostro Luca aveva un’idea simile. In Emilia-Romagna si stava espandendo una realtà dedita alla preparazione di succhi, estratti, frullati, vellutate, zuppe eccetera eccetera. In tre parole: organico, vegetarian friendly e salutista.

Inoltre, lui ricorda di aver partecipato ad una dimostrazione di due ingegneri che vantavano un brevetto: si trattava di una piastra che realizzava gelati al momento, cioè più che gelati, ghiacciati. Un mese dopo abbiamo visto aprire in Calle Sindicat a Palma più o meno la stessa cosa.

Il proprietario del marchio stava cercando di svilupparsi anche all’estero, e si proponeva, sotto il pagamento di un lauto compenso, di insegnare le basi: dalla gestione del magazzino, alla scelta dei fornitori e del locale, alla realizzazione delle preparazioni.

Fortunatamente quel contratto di franchising mascherato da “ehi bel bambino vieni qua che ho una sorpresa per te” non è stato mai firmato.

Le nostre "troppe" domande

Ultimamente sono tante le persone che ci stanno contattando attraverso il servizio di Trasferimento su Misura con l’idea di avviare un’attività in questo settore. Il nostro compito sta principalmente ed inizialmente nel consapevolizzare sulla realtà dell’isola, partendo dalla loro idea di prodotto.

Con chi volete lavorare? Avete una vaga conoscenza delle abitudini alimentari dei maiorchini? E degli spagnoli? Volete lavorare di giorno o di sera? Volete lavorare tutto l’anno o solo nella stagione turistica? Quanto incide la scelta del locale, e quanto il suo posizionamento? Quale sarà la vostra strategia di comunicazione? Come vi differenziate dai concorrenti in target? E ancora, sapete cosa vuole dire gestire in cucina 50 coperti, oppure è la vostra prima esperienza?

Molto spesso, sono proprio queste domande a disincentivare il proseguo del servizio, strano no? 

Ma in fondo, va bene lo stesso. A Maiorca noi ci viviamo e se dobbiamo spendere una fortuna per mangiare una piadina che non è piadina o un tortellone con il pane grattugiato dentro al posto del parmigiano, rimaniamo volentieri con un pescado a la mallorquina, con bietole, pinoli e uvetta.

Tradizione (quale?) o innovazione

Lo sapete che fino a 10-15 anni fa qui a Maiorca si coltivava solo Merlot e Chardonnay, ma da quando il mercato nordeuropeo ha spostato l’attenzione al territorio ed ai suoi prodotti tipici, i maiorchini hanno recuperato la coltivazione delle uve autoctone prima accantonate? Se non è tendenza questa…

C’è pure chi ha ambizioni importanti; lo sapete vero che tre stelle Michelin valgono il viaggio, due valgono la deviazione ed una vale la sosta?

Ma non facciamo di tutta l’erba un fascio. A Maiorca ci sono delle eccellenze, e sono sicuro che ne arriveranno ancora. Partire dai prodotti locali, la famosa cucina di mercato, per poi rivisitarli con l’eleganza che gli italiani sanno trasmettere al piatto, forse è questa la ricetta giusta? Non lo sappiamo, ma nel 2022 dispiace vedere annunci dove si cercano cameriere di bella presenza, perché già posso immaginare che esperienza gastronomica sarà.

Tanti, troppi, dicevamo. A maltrattare le materie prime, a nascondersi dietro il made in Italy, il cui valore nel panorama della ristorazione a Maiorca rischia solo di calare, perché poi in fondo che senso ha, se non per togliersi una voglia. Oppure hanno ragione loro? Quelli che hanno il merito di importare i formaggi ed i salumi della nostra tradizione, quelli che mantecano le fettuccine nella forma, quelli che basta un aggettivo per alzare il conto.

La cuenta, por favor

In America si sono americanizzati, in Germania germanizzati, ma in Spagna, almeno nella Spagna che conosco, gli italiani non hanno fatto ancora il grande passo. Non la maggioranza intendo. Mentre a Madrid si è fatta tempo fa campagna elettorale sulle birre nelle terrazze in tempo di Covid, qui ancora si cerca di importare lo street-food modello bada come la fuma. E d’altra parte, invece di fare ricerca e sviluppo sul camaiot, si preferisce ricaricare del 200% un culatello industriale.

Siamo migliori noi? Sicuramente sì, a casa nostra però, quella delle botti di aceto, dei caseifici di montagna, quella delle sfogline. Ma qui?

Siamo nella terra dell’arroz meloso che sostituisce il risotto, del sabroso che divora l’equilibrato, del ramallet che schiaccia il pachino. Siamo nella terra del variat, nato per offrire ai primi turisti degli anni ’60 un formato tapas che non esisteva fino ad allora, oggi invece parte integrante della tradizione culinaria maiorchina.

Loro sì, un passo avanti nell’adeguarsi al mercato.

Eppure, anche nel più tipico dei celler o nei programmi tematici della televisione locale, abbiamo visto riprodurre delle ricette senza alcun tipo di tecnica o innovazione. Eppure, ancora una volta, sono pieni, stracolmi. Negli stellati trovi invece il cap roig preceduto da una vellutata di scamorza affumicata, il che significa che ci guardano, che possiamo rappresentare un punto di riferimento. Fusion, si chiamava un tempo, per chi guardava ad Oriente. Ed oggi invece? Dove sono i ravioli ripieni di sobrasada, l’ossobuco con le albicocche, lo spiedino di crocchette panate alle mandorle?

I ricordi, sì! Quelli che vuole rievocare la cucina, ma non siamo tutti dei Bottura, qui bisogna guardare al futuro. Solo il volo diretto Palma-New York ci può salvare: fettuccine Alfredo per due, grazie!

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